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Chi sono

Il digitale è un fattore di cambiamento, ma non è il cambiamento.

Il mondo lo cambiano le persone.

Mi chiamo Gabriele Granato e la mia passione per il marketing e le dinamiche economico-sociali è nata tra i banchi del liceo. Fin da giovane ero affascinato dai meccanismi che muovono le imprese e i progetti di ogni genere: volevo capire il “perché” dietro al “come” di ciò che rende un’idea di successo. Allo stesso tempo, ho iniziato a intravedere nel digitale uno strumento capace di migliorare la vita delle persone, intuendo che la tecnologia potesse diventare una leva fondamentale per uno sviluppo più equo e sostenibile​ del nostro futuro.

Con gli anni, questa visione si è consolidata. Amo tutto ciò che ha un impatto positivo sulla quotidianità e credo fermamente che l’innovazione digitale abbia senso solo se arricchisce le esperienze umane. Non ho mai pensato al digitale come fine a sé stesso: il mio lavoro ruota attorno a come la tecnologia si integra con la dimensione umana, ibridando i mondi online e offline. In altre parole, dietro ogni trasformazione digitale vedo sempre le persone in carne e ossa – quelle che si stringono la mano, che collaborano e che, in ultima analisi, cambiano davvero il mondo.

Ruoli professionali

Attualmente ricopro il ruolo di Chief Marketing Officer (CMO) di Ellycode, l’azienda che ha sviluppato la piattaforma di Business Intelligence chiamata “Elly”. In questo incarico metto a frutto la mia esperienza nel marketing e nella trasformazione digitale per un obiettivo chiaro: rendere accessibili e semplici da utilizzare anche gli strumenti di analisi dati più avanzati​. Credo infatti che la business intelligence debba essere alla portata di tutti in un’organizzazione, così da aiutare aziende e istituzioni a prendere decisioni informate e a coltivare una solida cultura data-driven.

Sono stato Presidente di Fare Digitale, un’associazione che promuove la diffusione della cultura digitale in Italia, con l’obiettivo di sensibilizzare sull’uso consapevole delle tecnologie digitali come leva per lo sviluppo economico, culturale e sociale del Paese. In questo ruolo di volontariato mi impegno a sensibilizzare cittadini e imprese sull’uso consapevole delle tecnologie come leva di sviluppo economico, culturale e sociale. Attraverso Fare Digitale organizziamo incontri, dibattiti e percorsi formativi per colmare il divario digitale e favorire un’innovazione inclusiva. Questa esperienza mi ricorda ogni giorno quanto sia importante accompagnare la trasformazione tecnologica con la crescita delle competenze umane e con una visione etica del progresso.

Nel 2012 ho fondato la 3d0, una digital factory specializzata in soluzioni IT, sviluppo e comunicazione digitale. È stata la mia prima avventura imprenditoriale e per oltre un decennio ho guidato progetti di innovazione tecnologica per supportare aziende e istituzioni (in particolare enti culturali) nel raggiungere i propri obiettivi. In 3d0 ho imparato sul campo cosa significhi fare impresa nel digitale: dal lavoro di squadra con programmatori e creativi, fino alla soddisfazione di vedere un’idea prendere forma e creare valore per i clienti. Questa esperienza imprenditoriale ha gettato le basi del mio approccio pratico e orientato al risultato, che porto avanti ancora oggi in ogni nuovo progetto.

Docenze e formazione

La formazione ha sempre occupato un posto speciale nel mio percorso. Sono docente di Web Marketing e Comunicazione Digitale presso l’Università LUMSA, dove accompagno gli studenti alla scoperta del marketing digitale, della trasformazione tecnologica e dell’alfabetizzazione mediatica. In aula cerco di trasmettere competenze pratiche e passione, ma anche di imparare dai miei studenti: ritengo infatti che l’insegnamento sia un’opportunità reciproca, in cui il confronto con i giovani talenti arricchisce anche me come professionista e come individuo.

Sempre presso la LUMSA, sono docente nel Master in Comunicazione Digitale, Intelligenza Artificiale ed Innovazione per il Marketing, un percorso formativo che esplora l’incontro tra nuove tecnologie e strategie di comunicazione. Questo incarico mi consente di lavorare con studenti e professionisti su temi di frontiera, portando in aula esperienze e casi reali utili a comprendere l’impatto dell’IA e dell’innovazione nel marketing contemporaneo.

Parallelamente all’attività alla LUMSA, ho avuto modo di insegnare anche in altri contesti. Nel 2024, ad esempio, sono stato docente a contratto all’Università degli Studi di Salerno per un corso su Smart Community, Promozione e Digitalizzazione del Turismo​. Questa esperienza mi ha permesso di applicare le mie conoscenze in un ambito specifico – quello del turismo digitale – contribuendo a formare figure professionali capaci di innovare nel settore turistico e culturale. Inoltre, ho conseguito la certificazione come Docente Google, un titolo che attesta le mie competenze nell’utilizzo degli strumenti digitali per la formazione e la comunicazione​

Libri e pubblicazioni

Ho scritto tre libri dedicati al marketing culturale e dei musei:

  • “Inestimabile Valore – Marketing e fundraising per il patrimonio culturale” (Rubbettino, 2019), scritto con Raffaele Picilli. Il libro esplora strategie e buone pratiche per valorizzare e sostenere economicamente musei e beni culturali.

  • “Fundraising e marketing per i musei” (Rubbettino, 2021), sempre in collaborazione con Raffaele Picilli. In questo volume proseguiamo il percorso iniziato con L’inestimabile valore, focalizzandoci sulle tecniche per coinvolgere il pubblico e i finanziatori nel contesto museale.

  • “I musei salveranno il mondo” (Rubbettino, 2023), un invito a riflettere sul ruolo trasformativo dei musei nella società contemporanea. Qui ho voluto raccontare come le istituzioni culturali possano essere motori di cambiamento sociale, integrando innovazione e tradizione per affrontare le sfide del presente.

Ho contribuito inoltre al libro collettivo “Trasformazione digitale e competenze per la network society” (FrancoAngeli, 2022), curato da Maria Prosperina Vitale e Davide Bennato, con un capitolo scritto insieme a Michele Aponte intitolato “Alla ricerca di un’alleanza digitale tra tecnici e umanisti”.

Ho scritto la prefazione del libro “Appunti di marketing e digitalizzazione per studi professionali” di Gianmaria Abbondante (2022), un testo che esplora l’importanza della digitalizzazione e del marketing nel settore professionale, con particolare attenzione all’ambito economico-giuridico.

Filosofia personale

In tutte queste esperienze – dal lavoro aziendale alla vita associativa, dalla didattica alla scrittura – mantengo fede a un principio guida: mettere le persone al centro. Sono convinto che il vero progresso nasca dall’incontro tra innovazione tecnologica e valori umani. Per questo, il mio obiettivo quotidiano è creare valore in tutto ciò che faccio, sia che si tratti di sviluppare un progetto digitale, formare nuovi professionisti o collaborare con partner che condividono la mia visione. Cerco sempre di costruire ponti tra competenze diverse, di favorire la crescita collettiva e di dare un contributo positivo alla comunità.

Mi piace ricordare, infine, che la tecnologia da sola non basta a cambiare le cose: sono le persone, con la loro passione e il loro impegno, a fare la differenza. In fondo, le persone – e non le tecnologie – sono il vero motore del cambiamento. Questa convinzione ispira ogni mia scelta professionale e personale, ricordandomi che dietro ogni dato, ogni strategia di marketing e ogni innovazione c’è sempre il fattore umano, il più prezioso di tutti.

Gabriele Granato

Cominciare in piccolo, pensare in grande

La sopravvivenza a lungo termine di un’impresa dipende dalla capacità di un’azienda di reinventarsi e adattarsi per continuare a primeggiare sulla concorrenza.
Nei mercati dinamici in costante crescita ed evoluzione, l’idea iniziale sulla quale si fondava il business potrebbe con il tempo perdere valore, e quasi certamente verrà copiata dalla concorrenza. L’ecosistema in cui opera un’azienda non è quasi mai statico e le aziende possono essere paragonate a organismi viventi che, per sopravvivere, devono adattarsi.
Secondo il libro Reinventing Giants l’azienda di elettrodomestici cinese Haier ha saputo reinventarsi almeno 3 volte negli ultimi 30 anni, mentre Kodak ha pagato con la bancarotta la reazione tardiva all’ascesa della fotografia digitale.

Inoltre, la necessità di adattarsi non coinvolge solo l’impresa, ma anche il titolare. Molte aziende cominciano in piccolo e rimangono piccole. Sono pochi gli imprenditori capaci o disposti a compiere il passo successivo, assumendo dipendenti che non siano amici o parenti. Si tratta del processo che porta un imprenditore a diventare un leader in possesso di un diverso insieme di competenze, poiché diversi sono i requisiti a cui è necessario far fronte. Se un tempo erano sufficienti energia, idee e passione, l’evoluzione del business implica lo sviluppo di processi, procedure e sistemi formali, ovvero del management. I fondatori devono pertanto acquisire capacità di delega, comunicazione e coordinamento, o assumere personale che le possieda.

Quando un’azienda cresce, le esigenze cambiano.

La Curva di Greiner è un grafico che mostra come le prime fasi della crescita si fondino sull’iniziativa individuale e che la trasformazione delle prassi aziendali ad hoc in uno sviluppo sostenibile e di successo ha luogo solo grazie a persone esperte e a sistemi rigorosi. Per l’evoluzione del business, allo spirito imprenditoriale deve sostituirsi in sostanza una gestione professionale dell’azienda. Alcuni leader – per esempio Bill Gates – sono stati capaci di trasformarsi da imprenditori fondatori a dirigenti aziendali. Molti altri invece non riescono a comprendere come effettuare questo passaggio.

Modello di Greiner

L’equilibrio è tutto.

Determinare la velocità di crescita è il risultato dell’equilibrio tra competenze ed aspirazioni del fondatore. Tuttavia, per sopravvivere, l’idea deve dimostrarsi sufficientemente unica da ricavarsi una nicchia e l’individuo o il gruppo che la propone deve possedere lo spirito imprenditoriale e la flessibilità per adattare il progetto alle pressioni del mercato.
Anche la fortuna giocherà un ruolo fondamentale, ma è la combinazione di questi fattori a determinare se la piccola impresa può diventare una grande realtà.

 

Quando nasce il Business?

La riflessione sul business è nata nell’epoca in cui le prime civiltà iniziarono a scambiarsi beni e servizi. La comparsa di produttori specializzati e l’impiego del denaro come mezzo di scambio erano strumenti grazie ai quali individui e società potevano assicurarsi, in termini moderni, un vantaggio commerciale.

Gli antichi egizi, i maya, i greci e i romani erano consapevoli che l’accumulo di ricchezza attraverso il commercio era fondamentale per l’acquisizione di potere e costituiva la base per lo sviluppo della civiltà.

Gli insegnamenti dei primi mercanti rivendicano il loro valore anche ai giorni nostri: la specializzazione ha rivelato i benefici delle economie di scala (la riduzione dei costi di produzione con l’aumentare dei beni prodotti) ed il denaro ha portato alla formulazione del concetto di “valore aggiunto“: la vendita di un prodotto a un prezzo superiore rispetto al costo di produzione. E anche quando il baratto costituiva la norma, i produttori conoscevano già i vantaggi di abbassare i costi e aumentare il valore dei beni.
Sebbene le imprese di oggi facciano uso di tecnologie diverse e siano operative su scala mondiale, la natura del business nel corso dei millenni è rimasta quasi inalterata.

La nascita del Management

Lo studio del business come disciplina indipendente ha origini recenti, per esempio i termini manager o management sono stati introdotti nel 1500 in Inghilterra. Lo studioso Chandlet nel suo libro La mano invisibile divide la storia del business in due periodi: prima del 1850 il panorama imprenditoriale era dominato da ditte locali a conduzione familiare, su scala relativamente ristretta. Dopo la metà del secolo lo sviluppo delle ferrovie, a cui fece seguito la rivoluzione industriale, consentì alle aziende di crescere oltre la cerchia ristretta di conoscenti. Per prosperare in questo nuovo ambiente le imprese avevano bisogno di processi e strutture diversi e più rigorosi. Inoltre, lambito geografico e le dimensioni sempre più grandi di queste organizzazioni in evoluzione richiedeva più alti livelli di coordinamento e specializzazione. In altre parole era necessario il Management.

L’organizzazione scientifica del Lavoro

All’inizio la nuova generazione di manager puntò sulla produzione. Quando per rispondere all’esigenza di un costante aumento della scala di produzione, l’attività manufatturiera passò dalle mani degli artigiani alle macchine vennero ideate modalità operative ancora più efficienti.
Secondo i principi dell’organizzazione scientifica del lavoro (Taylorismo) esisteva un solo metodo ottimale per eseguire un compito. Le imprese furono organizzate in base a precise routine e il ruolo del lavoratore era quello di sorvegliare e alimentare i macchinari, come se ne fosse parte integrante. All’inizio del XX secolo, con l’avvento delle linee di produzione, nel mondo imprenditoriale si diffusero la standardizzazione e la produzione di massa.

1915 Model T Town Car. From the collections of The Henry Ford and Ford Motor Company. (4/22/08)
1915 Model T Town Car. From the collections of The Henry Ford and Ford Motor Company. (4/22/08)

Mentre la Ford Model T è considerata una pietra miliare dell’industrializzazione, Henry Ford si chiese “perché ogni volta che ho bisogno di un paio di braccia, ci trovo attaccato anche un cervello?”
Se la produzione era aumentata, si era inasprito anche il conflitto tra la direzione aziendale e il personale. Le condizioni di lavoro erano misere e le imprese ignoravano l’aspetto sociologico del lavoro: la produttività era più importante delle persone.

Ode alla maglia numero 10

Il sogno di ogni bambino che corre dietro ad un pallone. La magia di chi fa un dribbling, un tiro a giro, la rovesciata che sfida le leggi della fisica. Un numero che non è solo un numero.

Lo dico chiaramente, sono contrario a ritirare le maglie, anche e soprattutto se sono state indossate dai più grandi campioni di sempre.
Anche se è stata indossata dal più grande di tutto e di tutti.

Ridiamo a qualche giovane la 6 di Baresi, la 3 di Facchetti, la 10 di Maradona. Sì, proprio quella.

Forse per qualcuno sto bestemmiando, ma ci credo davvero, perché guardare al passato con nostalgia priva i giovani della speranza di fare lo stesso, o perché no, ancora meglio.

Chiudiamo i ricordi nell’album delle cose belle e godiamoci la bellezza dell’ora e qui con la speranza di un domani pieno di magie, doppi passi, finte ubriacanti e punizioni con la barriera ad un metro ma tanto gli faccio gol lo stesso.

maradona-napoli

Ps. perché la maglia numero 10 di Maradona è ormai solo il ricordo di Maradona per tanti di noi ed il sogno di diventare Maradona per quelli più piccoli.

Come è nata Sweet Child O’ Mine?

Sweet Child O’ Mine: la genesi

“Era un riff con cui stavo giocando già da un po’ di tempo, cercando di mettere a posto tutte le note. Eravamo seduti in un salotto nella fase di pre-produzione di Appetite For Destruction.
Era solo una cosa fatta un po’ per divertimento poi Izzy Stradlin ha cominciato a suonare degli accordi ed ho sentito arrivare la vibrazione del brano. Probabilmente Axl ci ha sentiti dalla stanza da letto al piano di sopra perché il giorno dopo in sala prove ci ha chiesto di ricominciare a suonare quel riff. Lo abbiamo fatto e lui già aveva le parole ed è così che è diventata una canzone”. (Parola di Slash)

È diventata LA canzone