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Manifesto per la felicità

Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere.

Viviamo in paesi ricchi, ci siamo affrancati dalla povertà di massa e abbiamo accesso ai beni di consumo, all’istruzione, alla sanità, a una vita più lunga e sana.

Eppure ognuno di noi avverte nell’aria il serpeggiare di un’insoddisfazione diffusa, di un malessere e un disagio psicologico che si esprimono in una dolente e ostinata litania che passa di bocca in bocca: la mancanza di tempo.

Viviamo di corsa in mezzo a individui frettolosi. E a mancare è prima di tutto il tempo delle relazioni con gli altri, sacrificate sull’altare del benessere materiale, che conosce due soli imperativi: lavoro e consumo. Siamo più ricchi di beni e sempre più poveri di relazioni.

Ecco perché siamo sempre più infelici.

Ma davvero per divenire più ricchi economicamente dobbiamo per forza essere poveri di relazioni interpersonali, di benessere, di tempo, di ambiente naturale? Davvero non esiste un’altra strada?

Perché i paesi ricchi non sono riusciti e non riescono a coniugare sviluppo economico e benessere? Perché i dati evidenziano che la felicità non è migliorata dal secondo dopoguerra, e anzi in certi casi, come negli Stati Uniti, è addirittura peggiorata?

Il cuore del problema è che lo sviluppo economico si è accompagnato a un progressivo impoverimento delle nostre relazioni affettive e sociali. Questo tipo di sviluppo non solo non produce benessere ma crea anche enormi rischi per la stabilità economica, come la crisi attuale dimostra. Essa infatti è il prodotto di un’organizzazione sociale che genera la desertificazione delle relazioni umane.

Fastweb e la “vendetta” di Valentino Rossi

Valentino Rossi non è più il testimonial di Fastweb, vero?

Il mitico “Dottore” con un po’ di sano e sottile smarketing (mi fa piacere pensare che lo abbia fatto di proposito) è riuscito nell’impresa di screditare un’azienda dopo anni e anni di pubblicità.

Valentino, grazie!

Dopo le mie disavventure con Fastweb il tuo tweet mi ripaga e mi rende felice :).

Il business non è tutto, prima ci sono le persone

Leggendo e rileggendo, ascoltando i protagonisti e ragionando sulla vicenda, credo che Schettino sia solo un poverino, mi pare anche inutile continuare a infierire.

Ciò che invece emerge chiaramente è la piena responsabilità di Costa Crociere.

Se carichi quasi 5000 persone su un hotel galleggiante il personale deve essere preparato (non solo il capitano), le procedure di salvataggio devono essere oliate alla perfezione e non puoi peccare di superficialità.
L’evidenza invece dimostra che così non è stato, e da qui non si scappa.

Un’azienda – fiore all’occhiello del settore – deve rispettare un codice etico stringente e non può permettersi il minimo errore “non straordinario“.

Fare business non è tutto, prima ci sono le vite delle persone.

E allora quasi quasi ben venga la crisi ed un azzeramento totale del tessuto sociale.

Per ora vinciamo solo le partite ai Mondiali

Il ponte che vedete si chiama Magdeburg Water Bridge ed è stato ultimato nel 2003.

E’ l’esempio di come in Germania realizzano le infrastrutture strategiche. Noi in Italia invece fra 30 anni completeremo il 25% della Salerno – Reggio Calabria.

Poi ci lamentiamo che ci trattano male: anch’io, fossi in loro, non mi frequenterei con piacere.

Costa Crociere e la potenza della rete

La tragedia della Costa Concordia mostra per l’ennesima volta la potenza della rete.

Dopo solo 2 giorni dalla sciagura sappiamo già tantissimi particolari importantissimi sull’incredibile evento (alcuni di una gravità assoluta) e conosciamo cose che solo 10 anni fa non sarebbero mai arrivate così velocemente alla pubblica opinione.

Il “merito” è di Internet che ha una funzione sociale importantissima: obbliga le aziende grandi e piccole a tenere comportamenti etici e ad offrire i servizi che promettono, altrimenti il danno di immagine può essere incommensurabile.

Costa Crociere ci sta provando a contenere i danni dovuti alle sue mancanze, ma ormai è troppo tardi, tutti gli errori verranno fuori: dal personale straniero non addestrato, all’obsolescenza delle lance e dei cavi, alla (presunta codardia) del capitano.