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Blockchain: è davvero utile o è un immenso spreco di risorse?

Editoriale di Paul Krugman “Blockchains, What Are They Good For?” pubblicato sul New York Times del 2 dicembre 2022, da me liberamente adattato e tradotto.

Circa un anno fa Bitcoin e altre criptovalute furono scambiate a prezzi record con un valore di mercato combinato di circa 3 trilioni di dollari. Decine di articoli e pubblicità patinate con famose celebrità – una su tutte “Fortune favors the brave!” di Matt Damon – riempivano i magazine e le radio. I politici, incluso, ahimè, Eric Adams il sindaco di New York, si affannavano per allinearsi a quello che sembrava essere un fenomeno di portata storica e dai risultati imminenti. Agli scettici, tra cui il sottoscritto, veniva semplicemente detto che non capivamo cosa stava accadendo.

Tuttavia da quel momento in poi i costi delle risorse crittografiche (crypto assets) sono crollati e numerose organizzazioni (crypto institutions) sono fallite. L’implosione di FTX, che pare abbia utilizzato i soldi degli utenti per sostenere un’altra azienda correlata, ha destato grandissimo scalpore, ma si tratta solo di uno dei tanti fallimenti a cui stiamo assistendo. E l’elenco cresce di giorno in giorno.

In molti affermano che stiamo attraversando solo una fase negativa (crypto winter). Io invece penso che stiano sottovalutando il fenomeno, che invece assomiglia di più al Fimbulwinter, l’inverno senza fine che secondo la mitologia norrena, precede la fine del mondo. La fine del mondo crypto.

Non solo la fine delle criptovalute, ma dell’intera idea di organizzare la vita economica attorno alla famosa “blockchain”.

E la vera domanda è: perché così tante persone – non solo piccoli investitori ingenui, ma anche importanti attori finanziari e imprenditoriali – hanno creduto che questa cattiva idea fosse l’onda su cui basare il futuro economico della nostra società?

Una blockchain è un libro mastro digitale associato a un asset, che registra la cronologia delle transazioni in quell’asset: chi l’ha acquistato da chi e così via. L’asset potrebbe essere un token digitale come un Bitcoin, ma potrebbe anche essere uno stock o per esempio un oggetto fisico come un container. I registri, ovviamente, non sono una novità. La particolarità delle blockchain è che i registri dovrebbero essere decentralizzati: non si trovano sui computer di una singola banca o azienda, ma sono di dominio pubblico, supportati da protocolli che permettono a molte persone di conservare questi record su molti server. Appunto decentralizzati.

Questi protocolli sono, dicono tutti, estremamente intelligenti. E io ci credo. Ma la domanda a cui non ho mai ricevuto una risposta soddisfacente è: “What’s the point?” Perché prendersi la briga di realizzare una blockchain, sostenere ingenti costi per mantenere un libro mastro decentralizzato e portarlo in giro ogni volta che ha luogo una transazione?

La motivazione principale che stava alla base della nascita di Bitcoin era che avrebbe eliminato il bisogno di fiducia (need fot trust): non dovrai più preoccuparti delle banche che rubano i tuoi soldi o dei governi che ne gonfiano il valore. Anche se detta tra noi le banche raramente rubano i beni dei loro clienti, mentre le istituzioni crypto cadono molto più facilmente in tentazione e l’inflazione estrema che azzera il valore del denaro generalmente si verifica solo nel caos politico.

Tuttavia, c’era anche un altro motivo, meno ambizioso, per l’utilizzo della tecnologia blockchain e di tutte le altre criptovalute: offrire un modo più economico e più sicuro per tenere traccia delle transazioni economiche e delle cose in generale. Ma anche questo sogno sembra svanire.

Nel clamore e frastuono per il fallimento di FTX, non sono sicuro di quante persone abbiano realmente notato che le poche aziende e istituzioni che negli ultimi anni hanno provato seriamente a utilizzare le blockchain si sono arrese.

Cinque anni fa la borsa australiana annunciò che stava pianificando di utilizzare una piattaforma blockchain per regolare le negoziazioni. Due settimane fa ha annullato il progetto, cancellando 168 milioni di dollari di perdite. Maersk, il gigante delle spedizioni, ha annunciato che sta riducendo i suoi investimenti relativi a una blockchain che dovrebbe gestire le catene di approvvigionamento. Un recente post di Tim Bray sul suo blog, ex-dev Amazon Web Services, ci spiega perché Amazon abbia scelto di non implementare una propria blockchain perché non è riuscita a ottenere una risposta diretta alla domanda: “la blockchain è davvero utile?

Allora come mai il mondo cripto, che non è mai stato sottoposto a grandi controlli, è diventato così importante? Probabilmente è stata una combinazione di fattori. L’ideologia politica ha giocato un ruolo importante: non tutti gli appassionati di criptovalute erano e sono di destra, ma la sfiducia nelle banche e nel denaro gestito dai governi ha fornito un grande sostegno. Anche lo storytelling sulla complessità di questa tecnologia ha giocato un ruolo importante e l’incomprensibilità per molti delle dinamiche cripto ha agito come punto di forza. E poi, con l’impennata dei prezzi, la paura di perdere l’occasione di diventare ricchi – in aggiunta ai grandi investimenti in marketing e all’acquisto di influenza politica – ha portato molti altri nella bolla.

È una storia incredibile, ma anche una tragedia. Non sono solo i piccoli investitori ad aver perso gran parte, se non tutti, i risparmi di una vita.

La bolla delle criptovalute ha avuto costi enormi per la società nel suo complesso.

Il solo mining di Bitcoin consuma una quantità di energia pari a quella di molti Paesi. Ho cercato di stimare il valore delle risorse consumate per produrre token fondamentalmente privi di valore, e probabilmente si tratta di decine di miliardi di dollari, senza contare i danni ambientali. Se si aggiungono i costi associati ad altri token e le risorse bruciate nei tentativi falliti di applicare un approccio blockchain a tutto, probabilmente stiamo parlando di sprechi su scala epica.

Senza dubbio molte persone continueranno a insistere sul fatto che sono io che non capisco la portata del fenomeno cripto. Anche se a me sembra che non ci sia proprio nulla da capire.

Vivere secondo i desideri non vi renderà mai felici (Teoria di Lacan)

 

La teoria di Lacan – denominata del desiderio o della felicità – più o meno dice così:

le fantasie non devono essere mai realistiche, poiché nel momento in cui otteniamo quello che cerchiamo, non lo vogliamo, non possiamo volerlo più.

Per poter continuare ad esistere, il desiderio deve avere i suoi oggetti eternamente assenti. E non è la cosa desiderata che noi davvero vogliamo, ma la fantasia di quella cosa. In altre parole il desiderio alimenta solo fantasie utopistiche.

Questo è ciò che intende Pascal quando dice che noi siamo veramente felici solo quando sogniamo ad occhi aperti la futura felicità. O perché diciamo, vale più la caccia che la preda o sta attento a quello che desideri, non perché lo otterrai, ma perché sei destinato a non volerlo più una volta ottenuto.

L’insegnamento di Lacan è che vivere secondo i desideri non ci renderà mai felici.

Per essere pienamente umani bisogna cercar di vivere secondo le nostre idee e i nostri ideali, non misurando la vita in base a quanti desideri abbiamo realizzato, ma in base ai piccoli momenti d’integrità, compassione, razionalità, a volte anche di sacrificio.

Alla fine, se vogliamo davvero misurare il significato della nostra vita, dobbiamo dare valore alla vita degli altri.

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Coraggio riflettete, voglio che frughiate nelle vostre menti e diciate a me e a tutti noi su che cosa vertono le vostre fantasie. La pace nel mondo? (silenzio)… lo sapevo! Forse sognate la fama a livello internazionale? O magari sognate di vincere il premio Pulitzer? O il premio Nobel per la pace? O il Music Award di MTV? O invece sognate di abbordare qualche bel camionista apparentemente rozzo, ma segretamente fremente di nobile passione e desideroso di darvene prova tangibile?

“Io ne prendo due!”

Come dici?

“Io ne prendo due!”

Brava, hai compreso la teoria di Lacan! Le fantasie non devono essere mai realistiche, poiché nel momento in cui otteniamo quello che cerchiamo, non lo vogliamo, non possiamo volerlo più. Per poter continuare ad esistere, il desiderio deve avere i suoi oggetti eternamente assenti.

(Tratto dal film The Life of David Gale di Alan Parker del 2023)

Il paradosso della stupidità

〰️ L’incredibile storia di McArthur Wheeler.
Si può essere troppo stupidi per capire di essere stupidi?〰️

Nel 1995, a Pittsburgh, McArthur #Wheeler decise di rapinare due banche nel medesimo giorno. Nessuna maschera e nessun camuffamento apparente. Quello che vedete nella foto è un frame di una delle telecamere di sicurezza di uno dei due istituti. Quando, nel giro di poche ore, la polizia lo mise in stato di arresto, Wheeler rimase assolutamente sorpreso di essere stato riconosciuto e individuato attraverso le immagini delle telecamere. La spiegazione che fornì lasciò tutti senza parole. Wheeler infatti sosteneva che prima di uscire di casa, armato e pronto per rapinare le due banche, si era coperto il viso di succo di limone. Secondo le sue parole, un amico gli aveva fatto vedere che scrivendo su un foglio alcune parole utilizzando succo di limone, la scritta rimaneva invisibile fino a quando non la si metteva vicino a una fonte di calore. Si tratta di un esperimento elementare che si può fare anche a casa. L’uomo era quindi convinto che cospargersi il viso di limone e stare lontano da fonti di calore sarebbe stato sufficiente per diventare invisibile. Prima di recarsi in banca si era anche scattato una polaroid ma, forse per la foga, aveva sbagliato mira e aveva inquadrato il soffitto. Questa fotografia gli aveva però confermato ciò che voleva: era diventato invisibile!

Wheeler non era sotto l’effetto di stupefacenti o alcool ma era, al contrario, molto stupito di essere stato smascherato.

Questa vicenda solleticò la curiosità di due ricercatori della Cornell University: David Dunning e Justin Kruger. Secondo Dunning, Wheeler era troppo stupido per comprendere di essere stupido. Quindi riunirono un gruppo di volontari per compiere un esperimento. Ad ogni partecipante fu chiesto quanto si considerasse competente in tre differenti aree: grammatica, ragionamento logico e umorismo. Successivamente fu loro chiesto di compilare un test per verificare quanto realmente fossero preparati su questi tre argomenti.
I risultati dell’esperimento confermarono quanto già sospettato. I soggetti che si erano autodefiniti “molto competenti” nelle tre aree, nelle prove avevano poi ottenuto le valutazioni peggiori. Al contrario, coloro che inizialmente si erano sottovalutati erano risultati tra migliori.

«Nel corso di quattro studi, gli autori hanno trovato che i partecipanti appartenenti all’ultimo quartile della classifica per quanto riguarda i risultati dei test su umorismo grammatica e logica, sovrastimavano di molto il proprio livello di performance e di abilità. Sebbene i punteggi li accreditassero nel 12° percentile, essi reputavano di essere nel 62°.»

Come sosteneva infatti anche Darwin, “L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza“.

Anche Bertrand Russell aveva scritto che “Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e di indecisioni“.
Il dottor Geraint Fuller, neurologo, commentò l’articolo dei due ricercatori facendo notare che anche Shakespeare si espresse in modo analogo in Come vi piace: “Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio“.
A volte, oggi, si legge la divertente battuta: “Quando sei morto non sei tu a soffrire perché non sai di essere morto. Soffrono gli altri. Succede lo stesso quando sei stupido“.

L’esempio lampante e più immediato dei nostri giorni sono le trasmissioni televisive come i Talent Show, nei quali a volte si presentano personaggi che di talentuoso non hanno nulla. Cantanti incredibilmente stonati, ballerini completamente scoordinati o comici con repertori a dir poco banali che, non appena eliminati, rimangono nel più completo stupore. Gli spettatori da casa e in studio ridono per queste reazioni, ma i diretti interessati rimangono seriamente feriti e non riescono a comprendere perché i giudici non siano in piedi ad applaudire le loro performance.
Anche in molti quiz vediamo partecipare persone con culture incredibilmente sotto la media ma che hanno inviato la domanda di ammissione convinti di poter vincere dei soldi e che rimangono interdetti quando il conduttore dice loro che la Rivoluzione Francese non è avvenuta nel 1970 o che Hitler non è morto nel 1991.
Nella vita quotidiana è molto comune vedere persone che parlano con apparente competenza di argomenti che conoscono superficialmente e che pretendono di avere ragione su persone che sugli stessi temi hanno studiato e lavorato una vita. Allo stesso tempo è frequente che un esperto si esprima con cautela perché sa bene che le teorie e le competenze sono in continuo mutamento e che le apparenti certezze franano con molta facilità.

Un tempo le persone come Wheeler erano relegate a “macchiette” della società e venivano sbeffeggiate dai vicini di casa che, una volta girato l’angolo, si dimenticavano di loro. Oggi invece i social network hanno completamente trasformato il tessuto sociale, permettendo a ognuno di avere l’illusione di essere in grado di rapportarsi alla pari con gli esperti, dando magari loro dei bugiardi su argomenti dei quali non si ha alcuna conoscenza se non brevi letture di frasi scritte da altre persone altrettanto incompetenti. Nessuno infatti parla quasi mai per esperienza diretta ma sulla base di qualcosa detta dal “cugino dell’amico” e su queste basi si ritengono esperti di qualsiasi argomento. Politica in tempo di elezioni, calcio ogni lunedì, economia quando arriva una multa a casa. In questo ambiente proliferano come funghi le fake news, sulle quali la gente basa giudizi ed emette sentenze, a volte anche di morte. Guai poi a chi si permette di far notare loro che si tratta di una bufala. Nella migliore delle ipotesi il malcapitato viene ignorato e si continua ad inveire verso un immaginario imputato, nel caso peggiore invece si scatena una reazione violenta, molto simile alla frenesia alimentare dei piranha. Da questo punto di vista, Internet, seppure sia uno strumento meraviglioso, ha il demerito di aver aumentato a dismisura questa convinzione. Infatti, se un tempo si era quasi costretti a frequentare persone dello stesso ceto culturale e sociale e le massime autorità che si incontravano erano il sindaco del paese, il medico e l’allenatore della squadra della parrocchia, oggi non è più così. Ora, se lo si desidera, si può entrare nella pagina di un immunologo di fama mondiale credendo di poter discutere con lui alla pari di vaccini e prevenzione, sul profilo di un leader politico per spiegargli come far uscire l’Italia dalla crisi e sul social di un commissario tecnico per dargli imperdibili suggerimenti su come schierare la nazionale. Il tutto in 5 minuti.
Un altro brutale esempio sono le recensioni sulle strutture ristoratrici e alberghiere. Oggi la gente è convinta che sia sufficiente assistere a qualche colorita esclamazione di alcuni celebrity chef in tv per potersi eleggere a recensori sopraffini, sufficientemente preparati per poter giudicare, spesso negativamente, i lavori di ristoranti stellati. Spesso si leggono stroncature che abbassano la media di ristoranti, portati avanti magari con sacrifici e fatica, scritte da persone che sanno a malapena aprire una scatoletta di tonno. Le stesse recenti campagne elettorali si sono svolte in una realtà simile, dove persone completamente estraneee alla politica si insultavano tra di loro, credendosi più preparate del loro interlocutore. Io lo vedo ogni giorno nel mio campo, ma ogni settore ne è interessato.

Così come un morto non sa di essere morto, uno stupido non sa di essere stupido.
Il dubbio invece è nostro amico 😎 #jamme

 

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La piramide dei bisogni di Maslow 3.0

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La Piramide dei bisogni di Maslow è sempre stata uno dei pilastri di chi fa il nostro lavoro, perché non è possibile capire le persone, se non si comprendono i loro bisogni.

E probabilmente Mark & Co. sono stati quelli che meglio di chiunque altro hanno capito la lezione, mettendola magistralmente in pratica 🙂

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Le luci d’artista viste da un (quasi) salernitano

Abito a Salerno da alcuni anni, ho una moglie e 2 figli salernitani e quindi si può dire che ormai sono anch’io un salernitano acquisito 🙂 e come (quasi) tutti i miei concittadini sono orgoglioso di poter andare in giro e dire “ma come, non hai mai visto le Luci d’Artista? Eh, ma devi venire subito allora!” e d’altra parte essere anche molto infastidito dalla manifesta disorganizzazione dimostrata dagli organizzatori (sì, lo so, è un controsenso, ma tant’è!).

Con quelli che ancora non hanno vissuto l’atmosfera magica delle luci faccio lo sborone e li invito a passeggiare per il corso e li porto alla rotonda come se fossero il corridoio e il salone di casa mia 🙂 “su dai, vieni, ti aspetto!”, magari già quest’anno.

Infatti fra pochi giorni la città di Salerno tornerà a illuminarsi con le spettacolari luminarie hi-tech. L’inaugurazione delle luci d’artista che scaldano ogni anno l’atmosfera della città prima del periodo natalizio, è prevista per il prossimo 7 novembre. Tra le novità di questa edizione le luminarie con “Pinocchio” e “Alice nel paese delle meraviglie” che verranno collocate insieme alle altre nel disegno del “Giardino incantato” introdotto l’anno scorso con le figure di “Cenerentola” e “Peter Pan“.

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La carrozza di Cenerentola | Luci d’Artista Salerno
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Veliero di Peter Pan | Luci d’Artista Salerno

Niente da dire! Uno spettacolo unico che in Italia pochissime altre realtà riescono ad offrire. Un città intera si mobilita obtorto collo per ospitare tantissimi visitatori (migliaia secondo la questura, miliardi di miliardi secondo l’ex sindaco ed ora governatore della Campania De Luca). E veniamo ai lati negativi che mi fanno incaxxxxxare così come a tutti gli altri miei concittadini: la disorganizzazione delle istituzioni e l’inciviltà delle masse.

I due fenomeni poi come per magia tra novembre e gennaio a Salerno si fondono per dare vita ad un qualcosa di mai visto prima: il CAOS dei CAOS. Giusto per darvi un’idea c’è gente che invece di fare 1km di strada cittadina interna preferisce farsene 20km di autostrada e circumnavigare l’area centrale della città.

E l’unico consiglio che mi sento di dare a chi vuole (e deve) vedere le Luci d’Artista è quello di affidarsi ad amici autoctoni (chiamatemi pure, sarò lieto di darvi una mano) o a tour operator specializzati nell’incoming.

Il Fai-Da-Te potrebbe rivelarsi letale!