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Etica per un figlio (e non solo)

In questi giorno sto leggendo lo splendido libro “Etica per un figlio” di Fernando Savater regalatomi dal mio carissimo amico Antonio Monizzi, spacciatore di libri meravigliosi (vi consiglio di iscrivervi subito al gruppo Libri di business una vera miniera d’oro), formatore, coach eccezionale e compagno di viaggio di tante avventure.

Etica per un figlio è un breve saggio sull’etica e la morale, sulla libertà e l’assunzione delle proprie responsabilità.
Senza dubbio, una piccola perla per il modo in cui tratta gli argomenti e per la bravura nel cogliere l’umanità, quella vera.

Tra le tanti frasi illuminanti mi ha colpito questa:

Come il bambino piccolo quando gli cade per terra un barattolo di marmellata che cercava di prendere da sopra lo scaffale e si rompe: piagnucola e grida “Non sono stato io!”. E lo grida precisamente perché sa che è stato lui; se non fosse così non direbbe proprio niente, e, chissà, si metterebbe persino a ridere. Invece se ha fatto un bel disegno dirà immediatamente: “L’ho fatto io, tutto da solo, nessuno mi ha aiutato!”.
Da grandi è lo stesso, vogliamo essere liberi per poterci attribuire il merito delle cose buone che facciamo, ma preferiamo confessare di essere “schiavi delle circostanze” quando le nostre azioni non sono esattamente gloriose.

In altre parole ci comportiamo secondo etica quando liberamente scegliamo di fare del bene e non del male, quando ci assumiamo le responsabilità derivanti dalle nostre scelte, quando “viviamo bene” senza rimorsi di coscienza.

L’etica ha la funzione di garantire che vale la pena di vivere, che persino con tutte le pene che la vita comporta, vale la pena. Perché proprio grazie alla sofferenza possiamo arrivare a provare i piaceri della vita, sempre contigui – è destino – ai dolori.

Un libro da consigliare ai genitori, ai figli, a quelli che ancora fanno a pugni con la propria anima e la propria coscienza. A coloro che vivono male. A coloro che hanno sofferto e per questo (anche inconsciamente) fanno soffrire gli altri.
Un libro per tutti!

 

 

 

La vita al contrario

Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è bello che superato.
Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno.
Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono.
Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare.
Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebè.
Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene.

Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni.
E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo!

Woody Allen

Io odio la parola fortunato

Io odio la parola “fortunato”, sminuisce un sacco di lavoro.

Vivere in un appartamento di Brooklyn senza riscaldamento e pagare per mangiare piatti in una cantina, non credo che allora mi sentissi fortunato.
E fare spettacoli per 50 dollari e cercare di essere onesto con me stesso e rifiutare le pubblicità dove mi volevano come fenomeno da baraccone.
Dire che sono stato fortunato nega il duro lavoro che io ci ho messo ed è un’offesa a quella persona che si congelava la
chiappe a Brooklyn.
Per questo io non dirò che sono fortunato.

Ho convogliato la mia sorte per trovare o attrarre persone di grande talento. Per qualche ragione io ho trovato loro e loro hanno trovato me.

peterdinklage

Per un pugno di dollari stai per fallire e te lo meriti pure

Quando un’azienda con una Fanpage su Facebook incontra un’azienda con un vero sito Web, l’azienda che sta solo su Facebook (perché tanto che mi serve il sito, qui spendo poco e posso mettere pure le foto di mia suocera al mare) è un’azienda morta!

(Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari stai per fallire e te lo meriti pure“)

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