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Il buon senso delle oche

Il prossimo autunno, quando vedrete le oche selvatiche puntare verso sud per l’inverno in formazione di volo a V, potrete riflettere su ciò che la scienza ha scoperto riguardo al motivo per cui volano in quel modo.

Quando ciascuno uccello sbatte le ali, crea una spinta dal basso verso l’alto per l’uccello subito dietro e volando in formazione a V, l’intero stormo aumenta l’autonomia di volo di almeno il 71% rispetto a un uccello che volasse da solo.

Da qui traiamo la nostra prima lezione:
“coloro che condividono una direzione comune e nutrono un forte senso di comunità arrivano nel luogo in cui vogliono andare più rapidamente e facilmente, perché viaggiano l’uno sulla spinta l’uno dell’altro”.

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Infatti quando un’oca si stacca dalla formazione, avverte improvvisamente la resistenza aerodinamica nel cercare di volare da sola, e rapidamente si rimette in formazione per sfruttare la potenza di sollevamento dell’oca davanti.
Un meraviglioso gioco di squadra 🙂
Se anche noi – homo sapiens – avessimo lo stesso buon senso delle oche, rimarremo in formazione con coloro che procedono nella nostra stessa direzione. Senza alcun dubbio.

Quando poi la prima oca si stanca, si sposta lateralmente e un’altra oca prende il suo posto alla guida, concedendole un po’ di meritato riposo. Quella che invece si accoda inizia a gridare da dietro per incoraggiare quelle davanti a mantenere la velocità:

“è più che sensato fare a turno nei lavori esigenti, che si tratti di persone o di oche in volo verso sud, e quando si lascia il posto di leader ad un proprio compagno è necessario non perdere il senso di comunità.

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Invece noi – razza evoluta – quando non siamo in una posizione di comando che tipo di messaggi mandiamo ai nostri compagni?

Infine quando un’oca si ammala o viene ferita da un colpo di fucile ed esce dalla formazione, altre due oche ne escono insieme a lei e la seguono giù per prestare aiuto e protezione.
Rimangono con l’oca caduta finché non è in grado di volare oppure finché muore; e soltanto allora si lanciano per conto loro, oppure con un’altra formazione, per raggiungere di nuovo il loro gruppo.
Questa immagine è toccante:

“mai abbandonare i compagni, mai tradirli, ma perdere il senso di comunità, anche davanti ad un rischio letale; i veri compagni non si abbandonano mai”.

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Se avessimo il buon senso di un’oca, vivremmo certamente in un mondo migliore.

L’Antropologia al servizio del Marketing (e della Birra)

Nel 2006 un importante produttore di birra europeo (che chiameremo BeerCo) riscontrò un calo delle vendite nei pub e nei locali, e tutte le ricerche di mercato e analisi competitive che commissionava non riuscivano a scoprire le cause.
Il prodotto, una classica birra chiara, ai clienti piaceva e nei negozi le vendite erano in aumento. Ma nei locali c’era qualcosa che non scattava e le campagna promozionali sembravano finire nel nulla.

Dov’era il problema?

Esauriti gli approcci convenzionali la BeerCo incaricò una squadra di antropologi sociali di visitare una dozzina di bar per svelare il mistero.
Gli antropologi affrontarono il progetto come se si trattasse di studiare una semisconosciuta tribù del Borneo. Si immersero nella vita dei pub osservando i comportamenti degli esercenti, del personale e dei clienti abituali, senza alcuna ipotesi precostituita su quello che avrebbero potuto scoprire.
Tornarono con 150 ore di filmati, migliaia di fotografia e centinaia di pagine di appunti.

Pian piano cominciarono ad emergere degli schemi generali. La BeerCo era convinta che gli esercenti apprezzassero i suoi materiali promozionali – sottobicchieri, adesivi, magliette – ma in realtà tutti questi articoli nella migliore delle ipotesi erano poco utilizzati, e nei casi peggiori erano oggetto di scherno (in un bar un ricercatore li aveva trovati dentro una credenza con su scritto: “Scatola delle stronzate“).

Un’altra scoperta fu che le cameriere vedevano il loro lavoro come una schiavitù e non sopportavano di dover flirtare con i clienti, dicevano che si sentivano “spogliate con gli occhi”; inoltre, cosa ancor più grave, ne sapevano molto poco dei prodotti della BeerCo e non avevano alcun desiderio di saperne di più: eppure erano uno dei principali canali di vendita.

Sull’onda di queste scoperte, la BeerCo si convinse della necessità di modificare radicalmente il proprio approccio a pub e locali. Invece di bombardarli con materiali promozionali uguali per tutti, l’azienda cominciò a personalizzare gli articoli. Insegnò ai venditori a capire meglio con che tipo di locale avevano a che fare e inventò uno strumento per aiutare gli esercenti a organizzare le campagne di vendita.
Creò delle “accademie” sul posto di lavoro per approfondire la conoscenza dei suoi prodotti tra il personale, e cercò di accattivarsi le simpatie delle cameriere offrendo un servizio di taxi per le dipendenti che lavoravano fino a tarda ora.

Dopo due anni le vendite nei pub e nei locali tornarono a salire, e il fatturato e la quota di mercato dell’azienda continuarono a crescere.

(Fonte: Harward Business Review – Marzo 2014)

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Il primo assaggio non si scorda mai

Le splendide reazioni dei bambini dopo aver assaggiato per la priva volta un limone.

Delicato capolavoro che strapperà un sorriso anche agli animi più freddi e burberi!

 

Ecco un piccolo assaggio  🙂

 

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Aristotele era un Social Media Manager

Forse non aveva lo smartphone e magari neanche l’account su Twitter, ma il buon Ἀριστοτέλης era certamente un fautore della comunicazione e dell’interazione.

Il filosofo dell’immanenza (vedi Wikipedia, quante cose si imparano ogni giorno) infatti nella sua Politica affermava che l’uomo è un animale sociale, il quale tende per natura ad aggregarsi con altri individui e a costruirsi una fitta rete di rapporti.
In altre parole l’uomo non è fatto per stare da solo, ma è alla continua ricerca di un modo per essere e rimanere in contatto con i suoi simili.

Noi animali-umani abbiamo bisogno di interagire con gli altri, dobbiamo comunicare, scambiarci opinioni ed informazioni; insomma abbiamo la necessità di costruire attorno a noi una fitta rete di relazioni, quelli bravi lo chiamano network 🙂.

Il nostro amico diceva queste cose circa 2.300 anni fa, ed oggi noi partecipiamo a convegni, ci iscriviamo ai corsi e leggiamo decine di libri su Facebook: che mito Aristotéles!

Aristotele e Platone