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Aggiusto siti web

Per il 95% delle persone, in modo alternato, io aggiusto computer e faccio siti web.

Oggi per la prima volta una signora – facendo una crasi etimologica – candidamente mi ha detto: tu aggiusti siti web, vero?
Ehm si, si (ho appena posato chiave inglese e tenaglia nella borsa dei ferri).
E come ti vanno le cose?
Benissimo (sto tutto il giorno in officina)!

E vabbè, ci vuole pazienza e tanta passione.

Eppure sono sicuro che sarà questo 95% che mi renderà ricco 🙂.

Dal quadro alla borsetta il passo è breve

Negli ultimi giorni mi sono imbattuto (per puro caso 🙂 ) in un bravissimo artista che riesce, meravigliosamente, a collegare l’astrattezza dell’arte con la concretezza della moda e dei suoi mille accessori.

Il suo nome è Roberto Rovirò e ad un profano dell’arte come me ha lasciato letteralmente a bocca aperta.

Il mio primo pensiero è stato: ma come ha fatto ad immaginare di utilizzare jeans, borsette e cinture per realizzare delle opere d’arte uniche e sole? Cosa scatta nella mente di un’artista?

Mistero fittissimo per un rozzo figuro.

Ed invece qualche volta l’arte illumina pure i cocci ed eccomi qui folgorato sulla via di damasco 🙂 .

Per farvela breve e mostrarvi un esempio pratico, il maestro Rovirò realizzare un’opera d’arte “acrilico su tela” (definiamola tradizionale):

RoviròE poi da qui passa a realizzare un’altra opera d’arte, unica, fatta a mano (definiamola alternativa):

RoviròApplauso! 😀

Balliamo sul mondo, non sulla munnezza!

In questi giorni sta spopolando in rete un video virale bellissimo (where the hell is munnezza), realizzato con grande maestria da giovani artisti napoletani che accende l’ennesima luce sul problema dei rifiuti a Napoli.

Come già detto l’idea è bella, il video è bello, solo la munnezza che ci sta dietro è brutta!

A questo video, come è prevedibile, sono seguite interminabili discussioni sui Social Network, si sono accavallate frasi e pensieri di speranza e cambiamento: “se iniziassimo tutti noi a fare qualcosa..“, oppure “dobbiamo ballare uniti!” e “Napoli, 2011: per cambiare le cose davvero, DOBBIAMO RESTARE UNITI“.

Tutto molto bello direte voi? Un nuovo rinascimento napoletano? La città si desta dal suo storico torpore e finalmente si ribella!

Bah dico io, bah!

Ad oggi – 21 luglio 2011 – le strade sono ancora sporche e puzzolenti. Le persone continuano ad essere investite dai motorini sui marciapiedi e dalle macchine sulle strisce pedonali. I paccari continuano a fare i pacchi alla luce del sole e i Rom i mercatini “dell’usato”. I bimbi continuano a camminare tra pantegane (a Napoli si chiamano zoccole, con decenza parlando) ed escrementi di tutti i tipi.

Insomma non è un gran bel vivere.

Eppure c’è chi lotta, chi si impegna, chi spera. Ed io non voglio essere colui che mette i bastoni fra le ruote. Anzi. Mi auguro che Napoli cambi, migliori, diventi finalmente una città civile.

Io però, scusate, scappo. Corro via lontano. Me ne fujo, ascolto il suggerimento di Eduardo e me ne fujo.

Eh sì, perché per continuare a lottare, per rimanere a Napoli sperando nel cambiamento bisogna averne le possibilità economiche e sociali.

Vivere a Napoli “civilmente” è un lusso, che in pochi si possono permettere.

E’ necessario vivere in una delle pochissime zone pulite della città (con appartamenti da milioni di euro), bisogna portare i propri figli in scuole private, in palestre e piscine altolocate, bisogna comprarsi i privilegi. Altrimenti a Napoli niente è un diritto, bisogna – in un modo o nell’altro – acquistare tutto.

E allora, in bocca al lupo. Mi auguro che si riesca a cambiare finalmente le cose. Ma io non ho più nessuna intenzione di lottare, di essere un cittadino perfetto (e sfido chiunque a dimostrare il contrario), di sperare.

Io voglio ballare sul mondo, non sulla munnezza!

Grazie Paolo

Dopo 19 anni le ferite bruciano ancora e finché bruciano c’è speranza!

Grazie anche per questo, soprattutto per questo.

Grazie Paolo.

Grazie a te, grazie a tutti quelli che sacrificano le proprie esistenze per dare speranza agli altri. Grazie a quelli che ogni giorno – in nome vostro – portano avanti la speranza di un mondo migliore.

Grazie Paolo.

Grazie per la nausea che ancora ci procuri, per l’amarezza che ancora proviamo, per l’indignazione che ancora non è andata via.

Grazie per tutto quello che hai fatto nella tua coraggiosa vita, grazie per tutto quello che hai fatto in questi 19 anni e che sicuramente continuerai a fare.

Grazie di cuore Paolo Borsellino!

Brasiliani prendete esempio da Nino

La Leva Calcistica Della Classe ’68

Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone e terra
e polvere che tira vento e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo,
con le scarpette di gomma dura,
dodici anni e il cuore pieno di paura.
Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori
che non hanno vinto mai

Lezione spiccia di marketing cantata da Francesco De Gregori.

Nino non avrebbe sbagliato. Nino avrebbe messo tutta la sua fatica, il sudore di giornate passate ad allenarsi. Nino avrebbe tirato con umiltà. Nino avrebbe avuto paura di sbagliare, perché sa che nella vita non sempre si può vincere.

Per questi motivi Nino ieri sera avrebbe sicuramente segnato il suo rigore.

Ed anche se avesse sbagliato non avrebbe avuto niente di cui pentirsi, sarebbe uscito dal campo con la certezza di avercela messa tutta, sarebbe tornato a casa con il cuore in gola e la tristezza nel sangue, ma il giorno dopo sarebbe tornato su quel campo per allenarsi di più e meglio.

Nino infatti è il prototipo del vincitore che vince anche quando perde.

I brasiliani invece ieri erano certi di vincere, e nella vita come nel calcio quando non meriti di vincere, di ricoprire un determinato ruolo, quando sei raccomandato o quando non hai la giusta umiltà, perdi anche quando vinci.